Western alla milanese e “crisi” di suicidi

MILANO (Día-río) – Vedere “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone con alcuni sconosciuti nel salone dell’ostello è stata una esperienza rilassante e distensiva. Certo, ho dovuto ritardare di qualche minuto la stesura del post, ma scorgere gli occhi di tutti concentratissimi sullo schermo, rendeva l’atmosfera piacevolissima, di altri tempi. Un po’ anni un unico televisore nel quartiere e tutti, lì, a guardare a bocca spalancata quel tubo catodico, oggi plasma. Western da paura per un pubblico variegato, ma apprezzabilissimo: da quelli con i capelli molto bianchi, intenditori, alla mamma neofita con il figlio adolescente, appassionato, a quelli che pur non capendo una parola d’italiano guardavano come per deliziare gli occhi o ascoltavano, anche solo per un po’, una delle melodie di Morricone. Con un triello finale di assoluto spessore. “Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica, e chi scava. Tu scavi”.

Al di là del film, oggi, girando per le zone della città degli studi, ho appresso una cosa in particolare sui milanesi: non parcheggiano come gli svizzeri, in questo sono italianissimi.

Tra le conversazioni della giornata, come sempre tante, mi è rimasta impresa una che ho fatto con due milanesi di adozione. Parlando con il responsabile di un hotel e con una sua collaboratrice, lui salernitano e lei filippina, si diceva che ultimamente nel Nord sono molto aumentati i casi di suicido per colpa della crisi. La cronaca di questi mesi, infatti, è piena di storie di persone che, travolte in un modo o nell’altro dalla recessione economica, si concludono in tragedia. Una scelta molto discutibile, non solo per me ma anche per i miei interlocutori.

Mentre parlavamo delle mie intenzioni di stabilirmi a Milano e cercare qui un lavoro, al telegiornale hanno comunicato l’ennesimo suicidio, proprio qui in Lombardia, a Brescia, un suicido-omicidio. La notizia ha confermato, in tutti noi, due cose: la discutibilità di una scelta simile; e la mancanza di relazione tra la vita e il fattore economico.

Senza voler fare il moralista, ritengo che la crisi – e non voglio mancare di rispetto a nessuno – è diventata la scusa per giustificare i nostri fallimenti, i nostri squilibri mentali, la nostra incapacità di far fronte alla vita. Io penso che se uno si suicida, lo fa perché lo vuole fare e non certo perché manca il lavoro o perché ha molti debiti. Penso che sia una mancanza di rispetto nei confronti di tutte quelle persone che, per esempio malate, vorrebbero vivere. Credo che ultimamente i media seguano con più attenzione il fenomeno e che a volte lo spirito di emulazione sia una brutta bestia. Ricordo per esempio il periodo dei sassi dai cavalcavia.

E per fortuna non solo l’unico a pensarla così e la cosa mi conforta.

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